giovedì 26 novembre 2015

ANALIZZIAMO “I SETTE MA”

Quando si comincia a pensare seriamente al fatto di dare vita al processo di Transizione nella propria comunità ci si scontra subito con una serie di dubbi. Sono più o meno sempre quelli, tanto che abbiamo iniziato a chiamarli “I sette ma”.
 
#1. Ma non abbiamo fondi…
Non è veramente un problema. I fondi sono un ben misero sostituto dell’entusiasmo e della partecipazione della comunità, che vi porteranno entrambe attraverso i primi passi della vostra transizione. I fondi possono anche richiedere misure di controllo, e potrebbero deviare l’iniziativa in direzioni che vanno contro gli interessi della comunità.
Vi mostreremo come potrete far si che il processo generi un adeguato ammontare di introiti. Non stiamo parlando di fortune, la vostra Transition Town non sarà quotata sul mercato, ma, come mi disse il designer di eco-villaggi Max Lindeggar alcuni anni fa, “se un progetto non da un profitto sarà una perdita”.
Totnes iniziò nel settembre 2005 senza  denaro. E si è sempre autofinanziata fin dall’inizio. Le conferenze e le proiezioni di film portarono denaro per sostenere eventi gratuiti come gli Open Space day.
Arriverete al punto in cui avrete progetti specifici che richiedono denaro, ma fino a quel punto ve la caverete. Conservate le forze finché non accadrà… non permettete che la mancanza di fondi vi fermi.
#2. Ma non ci lasceranno fare…
C’è la paura che in qualche modo ogni iniziativa che porti ad un cambiamento sarà osteggiata, soppressa, attaccata da burocrati senza volto o da corporazioni. Se questa paura è forte abbastanza da impedirvi di intraprendere alcuna azione, se l’unica cosa che volete fare è di lasciare tutta la vostra forza a qualche “Loro”, allora state probabilmente leggendo il documento sbagliato. D’altro canto, le Transition Town operano “sotto il radar”, non creano vittime ne creano nemici. Al momento non sembrano incorrere nelle ire di alcuna istituzione esistente.
Al contrario, costruendo giorno dopo giorno la consapevolezza della sostenibilità e sul cambiamento del clima, sarete sorpresi di quante persone in posizioni di potere saranno entusiaste e ispirate da quanto state facendo, e supporteranno, piuttosto che ostacolare, i vostri sforzi.
#3. Ma ci sono già gruppi “verdi” in questa città, non voglio pestare loro i piedi…
Ne parliamo in dettaglio al passo 3 dei 12 passi fondamentali, ma in sostanza, sareste proprio sfortunati a scontrarvi. Ciò che dovrebbe fare la vostra Iniziativa di Transizione è di formare un senso e un obiettivo comune per i gruppi esistenti, alcuni dei quali potrebbero essere ormai bruciati e apprezzeranno il nuovo vigore che voi portate.
Collegarsi a una rete di gruppi esistenti per produrre un Piano di Decrescita Energetica migliorerà e focalizzerà il loro lavoro, piuttosto che ripeterlo o soffocarlo. Aspettatevi che diventino i vostri più forti alleati, fondamentali per i successo della vostra Iniziativa di Transizione.
#4. Ma nessuno in questa città si cura dell’ambiente in nessun modo…
Potreste essere giustificati pensando questo, vista l’esistenza di quello che possiamo percepire come un’apatica cultura consumista che ci circonda. Scavate un po’ più in profondità, e troverete che le persone più insospettate sono acuti sostenitori degli elementi chiave dell’iniziativa di transizione – approvvigionamenti, beni, storia e cultura.
Il segreto è andare da loro piuttosto che aspettare che loro vengano da voi. Guardate oltre e vedrete che la vostra comunità è un luogo molto più interessante di quanto pensiate.
#5. Ma sicuramente è troppo tardi per fare qualcosa…?
Potrebbero essere troppo tardi. Ma è probabile che non lo sia. Questo significa che il vostro lavoro è assolutamente cruciale.
Non lasciate che la mancanza di speranza saboti i vostri sforzi – come dice Vandana Shiva, “l’incertezza dei vostri tempi è che non c’è certezza sulla mancanza di speranza”.
#6. Ma non possiedo le competenze adeguate…
Se non lo fate come potrebbe essere? Potrebbe essere che non abbiate un dottorato i sostenibilità, o anni di esperienza in agraria o pianificazione. Ciò che è importante è che abbiate a cuore dove vivete, che vediate la necessità di agire, e che siate aperti a nuovi modi di confrontarvi con le persone.
Se ci fosse una descrizione delle competenze per qualcuno che inizi questo processo, l’elenco delle qualità sarebbe tipo:
  • Positivo
  • Buono con le persone
  • Conoscenza del luogo e delle persone chiave
Tant’è. State, dopo tutto, per definire la vostra successione in questo processo (vedete il passo #1), così il vostro ruolo a questo punto è come quello di un giardiniere che prepara il terreno per il giardino che verrà, che siate o non siate li per assistere.
7#. Ma non ho la forza di fare ciò!
Come nella frase spesso attribuita a Goethe, “qualunque cosa possiate fare o sognare voi potete, cominciate. L’audacia ha genialità, potere e magia in se!” L’esperienza di cominciare una Transition Town certamente dimostra che questo è il caso, mentre l’idea di preparare la vostra città (o villaggio, o valle o isola) per la vita dopo che il petrolio sarà terminato sembra suggerire nelle sue implicazioni, che c’è qualcosa di inarrestabile nell’energia liberata nel processo di transizione.
Potreste sentirvi sopraffatti dalla prospettiva di tutto il lavoro e la complessità, ma la gente si farà avanti per aiutare. Effettivamente, molti hanno constatato l’ineluttabilità dell’intero processo, come la gente giusta arrivi al momento giusto. C’è qualcosa in questa audacia, nel fare il salto da “perché nessuna fa niente” a “facciamo qualcosa”, che porta l’energia a mettersi in moto.
Spesso, sviluppando iniziative ambientali è come spingere un’auto guasta su per una collina: duro arrancare. Le Transition Town sono come scendere dall’altro lato – l’auto comincia a muoversi più veloce di quanto voi possiate stargli dietro, accelerando continuamente. Una volta data la spinta dalla cima della collina, acquisirà la propria energia. Non voglio dire che a volte non sia una lavoro duro, ma è quasi sempre un piacere.

[Fonte: Transition Italia]

lunedì 23 novembre 2015

LE “CITTÀ” IN TRANSIZIONE




Tutto comincia con un piccolo gruppo di persone motivate e appartenenti alla stessa comunità che si riuniscono per condividere la stessa preoccupazione: come può la nostra comunità rispondere ai rischi e alle opportunità che ci si presentano a causa del Picco del Petrolio e del Cambiamento Climatico?
Così cominciano formando un Gruppo Iniziale o Gruppo Guida e adottando il modello filosofico e operativo della Transizione (che trovate spiegato qui in modo esteso, e qui e qui in sintesi) con l’intenzione di coinvolgere un numero significante di persone all'interno della comunità e far nascere una Iniziativa di Transizione.
Dal Transition Training di Campogalliano, NOV 2014
Dal Transition Training di Campogalliano, NOV 2014
Una Iniziativa di Transizione è una comunità (come queste in Italia e queste nel resto del mondo) che lavora tutta insieme guardando il Picco del Petrolio e il Cambiamento Climatico dritti negli occhi cercando una risposta alla domanda:
Come possiamo aumentare la nostra resilienza (per mitigare le conseguenze del Picco del Petrolio) e ridurre drasticamente le nostre emissioni di CO2 (per mitigare gli effetti del Riscaldamento Globale) in tutti gli aspetti della vita e delle attività di questa comunità?
Per arrivare alla risposta mette in atto un processo informativo e creativo di:

  • diffusione delle informazioni in merito al Picco del Petrolio al Cambiamento climatico e alla necessità di intraprendere azioni promosse dalla comunità per aumentare la resilienza e ridurre le emissioni ci CO2;
  • collegamento con le realtà esistenti già attive nella comunità;
  • creazione di relazioni con l’amministrazione locale;
  • collegamento con le altre Iniziative di Transizione;
  • formazione di gruppi che si occupino di tutte le tematiche fondamentali per la vita della comunità (alimentazione, energia, trasporti, salute, aspetti psicologici, economia e sostentamento, ecc.);
  • realizzare progetti mirati a far comprendere a tutti l’importanza del coinvolgimento della comunità nei processi di costruzione della resilienza e diella riduzione delle emissioni di CO2;
  • arrivare alla definizione un Piano di Decrescita Energetica progettato definito e messo in pratica dalla comunità in una scala temporale di 15/20 anni

Il tutto si concretizza nella produzione di un vasto numero di progetti coordinati che abbracciano tutte le aree e gli ambiti della vita della comunità.
All'interno di una comunità in Transizione vengono riconosciuti due punti cruciali:
Abbiamo usato un’immensa quantità di creatività, ingenuità e adattabilità durante il percorso di crescita energetica che la nostra civiltà ha compiuto fino ad oggi grazie alle fonti di energia fossili e non c’è ragione per non fare lo stesso anche nel percorso di decrescita che dobbiamo fronteggiare.
Se agiamo subito, in modo collettivo, è molto probabile riuscire a creare un nuovo e piacevole modo di vivere con maggiori relazioni tra le persone e maggiore integrazione con l’ambiente rispetto all’attuale frenetico sistema dipendente dal petrolio.

[Fonte: Transition Italia]

giovedì 19 novembre 2015

ALCUNI CONCETTI FONDAMENTALI


Ci sono alcuni di temi che ti devono essere chiari per capire come si origina l’idea della Transizione, non vogliamo certo esaurire qui gli argomenti, ma solo darti pochi elementi di partenza utili a successivi approfondimenti.

Picco del Petrolio (picco di Hubbert – Peak Oil) 
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Il Picco del Petrolio fu teorizzato per la prima volta da King Hubbert nel 1956.  Il picco avviene nel momento in cui viene raggiunta la massima capacità di estrazione dai giacimenti disponibili nel mondo.  Una volta raggiunto il picco la produzione entra in una fase di declino progressivo e definitivo. In termini pratici il raggiungimento del picco significa la fine della disponibilità di petrolio a basso prezzo (a volte viene confuso con la fine del petrolio in quanto risorsa). Nelle società industrializzate e fortemente dipendenti dal petrolio il raggiungimento del picco senza adeguata preparazione potrebbe portare a una crisi energetica globale e al crollo del sistema economico. 
Per approfondire:
Una introduzione alla teoria di Hubbert (Proff. Ugo Bardi – ASPO Italia)Il picco di Hubbert (Wikipedia)


Riscaldamento Globale (Global Warming)
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Riguarda il progressivo innalzamento della temperatura media del pianeta e attribuisce questo fenomeno all’emissione da parte dell’uomo di enormi quantità dei cosiddetti gas-serra. Le emissioni sono conseguenze di moltissime attività umane. Sotto accusa sono i motori a combustione, i processi industriali, i sistemi di produzione di energia partendo da fonti fossili, ma anche l’allevamento intensivo di alcune specie animali come i bovini. In particolare la CO2 (anidride carbonica) viene considerata la maggiore responsabile delle variazioni di temperatura che stiamo sperimentando. Ne consegue che per combattere il Riscaldamento Globale andrebbero ridotti tutti i processi che immettono CO2 nell’atmosfera e incentivati quelli che invece che la sottraggono (es. rimboschimento).
Per approfondire:
Ultimo rapporto IPCC – AR5Riscaldamento globale (Wikipedia)


Resilienza
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In ecologia la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi e sopravvivere a eventi esterni anche di tipo fortemente traumatico. Più il sistema è resiliente più grande è il trauma che riesce a superare senza degenerare. Nelle attività di Transizione la resilienza è la capacità di una comunità di affrontare le difficoltà e i cambiamenti derivanti dal raggiungimento del Picco del Petrolio (riduzione della disponibilità di energia, problemi economici e finanziari, difficoltà di approvvigionamento di cibo, deficit di servizi fondamentali) senza subire traumi e degenerazioni.
Per approfondire:
Resilienza di Andrew Zolli e Ann Marie Healy

[Fonte: Transition Italia]

lunedì 16 novembre 2015

CHE COS’È LA TRANSIZIONE?

La Transizione è un movimento culturale impegnato nel traghettare la nostra società industrializzata dall'attuale modello economico profondamente basato su una vasta disponibilità di petrolio a basso costo e sulla logica di consumo delle risorse a un nuovo modello sostenibile non dipendente dal petrolio e caratterizzato da un alto livello di resilienza.
Analizzando più a fondo i metodi e i percorsi che la Transizione propone, si apre un universo che va ben oltre questa prima definizione e fa della Transizione una meravigliosa e articolatissima macchina di ricostruzione del sistema di rapporti tra gli uomini e gli uomini e tra gli uomini e il pianeta che abitano.

ROB HOPKINS


Transition è un movimento culturale nato in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins.
Tutto avviene quasi per caso nel 2003. In quel periodo Rob insegnava a Kinsale (Irlanda) e con i suoi studenti creò il Kinsale Energy Descent Plan un progetto strategico che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile.
Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma quasi subito tutti si resero conto del potenziale rivoluzionario di quella iniziativa. Quello era il seme della Transizione, il progetto consapevole del passaggio dallo scenario attuale a quello del prossimo futuro.

COM’È IL NOSTRO MONDO
L’economia del mondo industrializzato è stata sviluppata negli ultimi 150 anni sulla base di una grande disponibilità di energia a basso prezzo ottenuta dalle fonti fossili, prima fra tutte il petrolio. Più in generale il nostro sistema di consumo si fonda sull’assunto paradossale che le risorse a disposizione siano infinite.
Le conseguenze più evidenti di questa politica sono il Global Warming e il picco delle risorse, prime tra tutte il petrolio, una combinazione di eventi dalle ricadute di portata epocale sulla vita di tutti noi. Ci sono molti altri effetti che si sommano a questi, inquinamento, distruzione della biodiversità, iniquità sociale, mancata ridistribuzione della ricchezza, ecc.
La crisi petrolifera appare però la minaccia più immediata e facilmente percepibile dalle persone. Rob intuisce che è più semplice partire da questo punto e arrivare agli altri di conseguenza, un’intuizione che è probabilmente alla base della fulminea diffusione del suo movimento.

RISCOPRIRE LA RESILIENZA
Ma Rob è anche e soprattutto un ecologista e ha passato anni a insegnare i principi della Permacultura. Da questo suo background deriva la sua seconda intuizione: applicare alla logica della sua Transizione il concetto di resilienza.
Resilienza non è un termine molto conosciuto, esprime una caratteristica tipica dei sistemi naturali. La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare, una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni.
La società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza. Viviamo tutti un costante stato di dipendenza da sistemi e organizzazioni dei quali non abbiamo alcun controllo. Nelle nostre città consumiamo gas, cibo, prodotti che percorrono migliaia di chilometri per raggiungerci, con catene di produzione e distribuzione estremamente lunghe, complesse e delicate. Il tutto è reso possibile dall’abbondanza di petrolio a basso prezzo che rende semplice avere energia ovunque e spostare enormi quantità di merci da una parte all’altra del pianeta.
È facile scorgere l’estrema fragilità di questo assetto, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza. Questa non è resilienza.
I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).
Lo fa con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. La dimensione locale non preclude però l’esistenza di altri livelli di relazione, scambio e mercato regionale, nazionale, internazionale e globale.

LE TRANSITION TOWNS
Nascono così le Transition Towns (oramai centinaia), città e comunità che sulla spinta dei propri cittadini decidono di prendere la via della transizione.
Qui si evidenzia il terzo elemento di forza del progetto di Rob Hopkins, quello che lui ha creato è un metodo che si può facilmente imparare, riprodurre e rielaborare. Questo lo rende piacevolmente contagioso, anche grazie alla forza della visione che contiene, un’energia che attiva le persone e le rende protagoniste consapevoli di qualcosa di semplice e al contempo epico.
Possediamo tutte le tecnologie e le competenze necessarie per costruire in pochi anni un mondo profondamente diverso da quello attuale, più bello e più giusto. La crisi profonda che stiamo attraversando è in realtà una grande opportunità che va colta e valorizzata. Il movimento di Transizione è lo strumento per farlo.
Cristiano Bottone

[Fonte: Transition Italia]